Odiare i ciclisti e la banalità del male
Chi conosce Hannah Arendt capisce al volo la provocazione del titolo. Per semplificare ciò di cui sto parlando, prendendo spunto da Wikipedia, Hannah Arendt, nella sua opera più famosa, ricava l’idea che il male perpetrato da Eichmann — come dalla maggior parte dei tedeschi che si resero corresponsabili dell’Olocausto — fosse dovuto non a un’indole maligna, ben radicata nell’anima, quanto piuttosto a una completa inconsapevolezza di cosa significassero le proprie azioni.
Oggi parlo, ancora una volta, di un evento che mi tocca da vicino. Per motivi personali ho sviluppato una certa sensibilità agli incidenti stradali, in particolare quelli che riguardano i ciclisti.
Il fatto di cronaca odierno è di quelli che lasciano senza parole. Almeno prima dei social network. Purtroppo ora le parole abbondano. Anche troppo.
Partiamo da un dato di fatto: non tutti odiano i ciclisti, anzi, però chi lo fa pensa di doverlo fare dando fondo a tutte le proprie capacità comunicative. Che spesso sono “completamente inconsapevoli”. O, parafrasando l’opera da cui prendo il titolo, “banalmente cattive”.
Perché dico questo? Guardate questi commenti, apparsi con l’identità in chiaro di chi li esprime.
Non nascondo un solo nome e cognome, sono tutte persone adulte e — spulciando i loro profili — perfino apprezzate dalla loro comunità di affetti e amicizie. Nonostante siano perfettamente integrati (che brutta parola, lo so), scrivono tranquillamente così.
La “cattiveria” di cui sopra però non è sopita solo nelle ‘ brave persone’ che non conoscono come utilizzare adeguatamente gli strumenti di comunicazione. Ne ho già scritto.
Questa tipologia di ‘odio generalizzato’ attrae un po’ tutti: è istantaneo, spontaneo e, non a caso, non sono mancati all’appello neppure professionisti del giornalismo con commenti simili dai facili “like” e dalle numerose condivisioni.
Non sono mancati neanche (presunti) ‘amici’ che sono stati capaci di dirmi cose simili dopo un incidente in bici.
Mancano all’appello gli innumerevoli “simpaticoni” che su Facebook mostrano foto con ciclisti in gruppo con il ‘classico commento’ che incita i propri follower a “investirli tutti”.
Perché accade tutto questo? Non è colpa (solo) dei social network, forse le piattaforme ne sono quasi vittime’. Tutti questi pensieri, tanto spontanei quanto edificanti della propria opinione, vengono espressi all’esterno perché esistono nella società. Se si può offendere ancora oggi una donna solo per come veste, figurarsi se in qualche famiglia o gruppo di amici ci sarà mai qualcuno che, come il sottoscritto, si inalbera quando sente simili bestialità.
Cosa fare? Non ho la risposta, ma ho un’opinione. Spesso si parla di Comunità o di senso di appartenenza ma mai abbastanza del problema del pensiero di gruppo quando non è costruttivo. Insomma, quando creiamo un gruppo esiste il rovescio della medaglia.
Parlare senza incontrare dissenso o opinioni avverse, specie e soprattutto su argomenti “secondari” rispetto a quelli che si incontrano nel processo formativo, porterà gli strumenti di comunicazione (oggi i social network, domani chissà cosa) ad essere solo il megafono dell’ignoranza di cui ci si vanta che spesso diventa odio generalizzato.
Peccato, perché forse basterebbe dare di cretino ai cretini almeno per diminuire il rumore di fondo.