Il confine tra curiosità e giornalismo
In questi giorni ho avuto modo di confrontare alcune diverse visioni di fare giornalismo in questo periodo di emergenza.
Per la verità sono quasi sorpreso in positivo: molti professionisti, specie nelle cronache locali, si sono adeguati al loro “nuovo ruolo” (che non è così nuovo con l’avvento dei social visto che ora anche il singolo giornalista viene “riconosciuto” dai cittadini, ndr) all’interno delle Comunità e — complice il vortice dei numeri — hanno seguito quella regola ‘non scritta’ della deontologia che coniuga la funzione di notiziabilità a quelle di rispetto per i defunti e del diritto alla riservatezza.
Purtroppo ci sono stati (e ci saranno, temo) pessimi esempi: a questo riguardo è interessante leggere quanto scrive oggi il Garante della Privacy (coinvolge anche il mondo del giornalismo, eh) su alcune devianze di alcuni comportamenti (al limite del ‘predatorio’, mi permetto di aggiungere).
Avete presente quei titoli con nome e cognome che richiamano alla morte per Covid-19 o positività varia?
Il Garante, coerentemente alla sensibilità della notizia, ha voluto ribadire che “in ogni caso devono essere evitati riferimenti particolareggiati alla situazione clinica delle persone affette dalla malattia come prescrive l’art. 10 delle Regole deontologiche”.
Deontologia che vale sempre, a mio modesto parere ANCORA DI PIU’ durante questa emergenza. Già l’altro giorno ricordavo come stia mancando, per ragioni oggettive, la possibilità dell’ultimo saluto ai propri cari che muoiono in queste settimane.
Oggi, ai colleghi che ancora non l’hanno compreso, volevo fare un piccolo appello: deontologia a parte, mettetevi una mano sulla coscienza e pensate bene se la bramosia di rendere noto un morto per Covid-19 sia il modo migliore per fare questo mestiere. Grazie.