Così non Giro
A volte parlo di ciclismo, forse fin troppo per chi non è appassionato, specie quando mi emoziono. Una delle cose che provoca i sentimenti maggiori è sicuramente il #GirodItalia.
Oggi è partita la corsa rosa. Dall’Ungheria.
Come sempre, una premessa.
Il Giro che parte dall’estero a me piace. Molto. Non sono uno di quelli che storce il naso se la corsa rosa va in Grecia, in Belgio, in Israele o in Olanda. Va bene anche l’Ungheria, paese bellissimo.
E’ necessario però fare un passo indietro: a meno di non essere ingenui lo sport è politica.
Lo scrivo meglio: lo sport è anche politica. L’Ungheria oggi ha una chiara connotazione all’interno dell’Europa (evito lo spin-off). Il Giro doveva già partire da Budapest, l’emergenza pandemica ha spostato avanti nel tempo l’appuntamento. Torniamo alla tappa di oggi.
L’arrivo è stato a Visegrád, un piccolo paese di 1900 abitanti. Provo a fare il finto tonto visto che, per un comune italiano di così piccole dimensioni, per costi e logistica è (quasi) impossibile ospitare l’arrivo di una tappa del Giro. Figuriamoci quella iconica dell’esordio.
Insomma, ci siamo capiti. Spesso si parla (a ragione) del problema morale ed etico dello sport che vive anche con soldi che vengono da realtà con diritti civili e umani distanti dai nostri valori. Ecco, ora arrivo alla domanda che mi tormenta da stamani.
Va tutto bene nell’accettare il tutt’altro che sottinteso messaggio politico e la visibilità all’attuale mondo ungherese con una tappa del Giro (d’Italia, ci tengo) tra Budapest e Visegràd? O è meglio fingersi tutti tonti?
La passione c’è, ma non si può tollerare tutto.
Aggiornamento: a luglio 2022 ho scritto anche questo (e ho cambiato, in gran parte, idea).